top of page
Immagine del redattoreMonica Pasero

Intervista al regista e scrittore Stefano Soli ( anno 2022)

  



Tutto inizia tramite un flash, un’immagine che si manifesta nel pensiero ,come un trailer d’anteprima. Quell’idea che scuote l’animo improvvisamente, e non si arrende al disagio iniziale, ma sprona a crederci. In fondo nessun vero artista vive di sicurezze, ma di lanci nel buio, dove porta la propria arte, il proprio lavoro e talento allo sbaraglio con la sola certezza che ci proverà sempre.


Clint Eastwood dice: “Ciò che mi interessa più di ogni altra cosa nel lavoro e nella vita è la ricerca della verità. Questo percorso mi spinge ancora a dirigere film.” 



In una società pigra alla riflessione, dove la superficialità vivacchia serenamente, facendoci scordare spesso la realtà che ci circonda, quale modo migliore di rendere appetibili verità spesso sottovalutate mascherandole in pura fantascienza? Proponendole sotto forma di svago, e tra i fotogrammi di un film percorrere tematiche importanti, non poi così fantascientifiche. Scenari catastrofici che svelano sempre più possibili realtà a venire. L’ospite di oggi sa quanto tramite un film si possano lasciare messaggi importanti, spesso nascosti tra le righe di un copione, perché se la lettura resta da sempre cibo per l’anima, un film resta un full immersion di emozioni racchiuse in circa una novantina di minuti di pellicola, dove le riflessioni più disparate giungono ad animarci e aprirci gli occhi, mettendo in dubbio le nostre fino ad ora certezze. Oggi nel mio spazio arriva un uomo che con professionalità e spirito di iniziativa ha portato avanti il suo lavoro e i suoi sogni. Regista, sceneggiatore, produttore e non per ultimo scrittore, ho il piacere di ospitare Stefano Soli.


Innanzitutto ti ringrazio di essere qui, e parto subito col chiederti: quando è nata la tua passione per il Cinema?


Avevo 15 anni quando ho scoperto l'Astra. Un cinema d'essai ma non nel senso classico. Era una sala vera, platea e galleria, col libretto scolastico si pagava pochissimo e in barba al divieto si fumava pure. Facevano dei cicli, ogni giorno un film diverso. La settimana di Woody Allen, quella di Carpenter, quella di Al Pacino. Era il cinema degli anni 70. Tematiche e soggetti riflettevano la libertà di quel tempo, le storie erano spesso amare, non soffocate dal buonismo e dall'ipocrisia che oggi ci circondano fino a essere diventati una sorta di autocensura preventiva degli autori: questo si può dire, questo no. Come se fosse questa la soluzione ai problemi: mettere la polvere sotto al tappeto.


 Nel 2003 ricevi il Globo d’oro della Stampa Estera per il miglior cortometraggio,“Furti” di cui sei stato Sceneggiatore e Regista. In Furti si narra la storia di un ragazzino che viene convinto dai suoi amici a rubare un giornalino pornografico, ma verrà preso in flagrante dall’edicolante che gli indicherà una via d’uscita… Una trama apparentemente divertente, una bravata che molti ragazzini, almeno ai nostri tempi quando il web non impazzava ancora, hanno tentato, ma tra le righe leggo anche la figura del branco, quale messaggio porta questo Corto?


Più che altro è il desiderio di essere accettato, di far parte di qualcosa a mettere nei guai il protagonista, a fargli compiere un'azione di cui non è convinto e per la quale patirà dolorose conseguenze. Era la mia prima cosa importante, l'ho vissuta con grandissima tensione. Qualche anno fa mi è capitato di rivederlo e sono rimasto imbarazzato dall'ingenuità di alcune scelte fatte in sede di montaggio. Per carità, non lo rinnego affatto, solo ritengo che con lo stesso materiale girato oggi potrei sfornare un prodotto decisamente superiore.


Nel 2005 presenti al Festival di Venezia il tuo Cortometraggio “giorno 122”, in seguito ne hai realizzato e prodotto un Lungometraggio, disponibile su Youtube, che a oggi conta più di 300 mila visualizzazioni. E per gli amici lettori è disponibile anche il romanzo. Due parole su questa tua produzione?

 

Due parole sono davvero troppo poche per un percorso fatto di alti e bassi, di fatto durato più di sedici anni. Scegliendo pochi momenti salienti, ricordo l'emozione di essere selezionati per Venezia, la delusione per la mancata uscita in sala, per esserci scontrati con la dura realtà dei meccanismi distributivi, ma il momento chiave è quello in cui ho deciso di resuscitare il progetto trasponendolo in forma di romanzo. Libero da vincoli produttivi e limiti di budget, ho potuto dare alla storia il suo pieno respiro. Scelta rivelatasi azzeccata, il romanzo mi sta dando grosse soddisfazioni e il film dopo essere rimasto quasi un decennio chiuso in un cassetto sta circolando con risultati strabilianti. Mi auguro ci sia anche un quarto momento importante: quello in cui un produttore deciderà di farci una serie.


Alfred Hitchcock sosteneva che l'unico modo per sbarazzarsi delle sue paure è farci dei film”, è così anche per te?


Più che di paure parlerei di ossessioni. Nel corso del documentario che girai su di lui, Gabriele Lavia mi confidò che tutte le sere prima di andare in scena apriva un certo cassetto della mente, lì custodiva il nero che alimentava la sua arte. Finito lo spettacolo, chiudeva il cassetto e se ne andava tranquillamente a cena. Compresi solo dopo un po' di tempo quello che intendeva veramente.  Avevo iniziato a tenere una specie di diario, esperienze dirette che elaboravo e dirottavo su un protagonista immaginario, una sorta di alter-ego. Un giorno decisi di riordinare quel materiale che non avevo mai riletto. Rimasi travolto dalla negatività e dalla rabbia che trasudavano da quelle pagine. Di fatto erano tutti sfoghi, contro me stesso, contro la società, contro coloro a cui volevo bene. Stetti malissimo per una settimana. Avevo spalancato il cassetto ma non avevo ancora l'esperienza, non ero stato in grado di richiuderlo.


Viviamo in tempi difficili dove le fantasie catastrofiche cinematografiche e letterarie sono divenute sempre più possibili realtà. È un po’ come se l’Universo si alimentasse delle nostre paure e le riprogrammasse nel futuro? Tu cosa ne pensi?


 In quanto specie più evoluta, l'uomo si è sempre considerato il padrone della Terra anziché un figlio, una diretta emanazione. Ha colonizzato ogni spazio, invaso ogni angolo del pianeta, sfruttandolo per il proprio tornaconto. Un atteggiamento profondamente miope che denota scarsa intelligenza, un tragico errore. Il problema è che l'avanzare della tecnologia ci ha dotato di un potere distruttivo mai avuto prima. È come una scatola di fiammiferi in mano a un bambino.


Tra i tanti registi, viventi e non, a chi faresti volentieri una domanda? E soprattutto cosa chiederesti?


Sarò banale, dico Kubrick. Il migliore di gran lunga. Tutti film differenti, tutti capolavori. Cosa gli chiederei? Mh-hm difficile... mi piacerebbe starci insieme a cena. Una domanda unica? Forse... perché non ti hanno mai dato un Oscar?


 Un consiglio per i giovani che vogliono intraprendere il tuo stesso percorso.


Preparatevi a soffrire. Chi si accosta a questo mestiere di solito ha una spinta a esprimere se stesso, ma il mercato spesso omologa e soffoca la parte creativa. Altro consiglio: non svendete la vostra professionalità, non consideratevi miracolati perché qualcuno vi offre di lavorare, spesso tendiamo a dimenticare che la scrittura è la base irrinunciabile del processo produttivo. Ultimo, non disdegnate l'esercizio, la pratica affina le vostre qualità, vi rende migliori.


Se fossi costretto a scegliere tra regia e scrittura a cosa rinunceresti?


Ho già di fatto scelto la scrittura. Perché sono libero da vincoli, di manifestare il mio pensiero senza compromessi. Di realizzare un prodotto fruibile in totale autonomia. Ogni tanto però riaffiora la voglia di set, di misurarmi ancora con la traduzione e la sintesi del pensiero in immagini. Di ritornare a praticare quel linguaggio che di fatto è stato la mia palestra formativa. Chissà, magari presto...


“Il cinema è il modo più diretto per competere con Dio”, così affermava il grande Federico Fellini, e qui ti chiedo: che rapporto hai con Dio?


Sinceramente nessuno. È  una competizione che ho avvertito fortissima da piccolo e che mi ha procurato disagio e sofferenza. Ho risolto smettendo di pensarci, perché sono domande alle quali, per quanto ti sforzi, non puoi dare risposta. È  certo che esista un'energia superiore ma antropomorfizzarla, costringerla a nostra misura, immaginare che possa interessarsi alle nostre esistenze piuttosto che a quelle di una formica o di un rinoceronte è ancora un atto di presunzione.


 Ma chi è Stefano Soli nella vita di tutti i giorni?


Spero di non deludere nessuno. Una persona normale. Un marito e un padre che andando avanti negli anni ha trovato quell'equilibrio e quella serenità che in gioventù spesso è mancata. Detto ciò, non rinnego alcuna esperienza, neanche le meno edificanti. Ciascuna di loro ha concorso a fare l'uomo che sono.



A Febbraio 2023 è prevista l’uscita del tuo nuovo lavoro letterario “Il quarto requisito” romanzo noir al femminile che sarà editato da SEM edizioni. Ci puoi già svelare qualcosa?


È  un'opera molto diversa da “Giorno 122”. Un noir, un romanzo di formazione criminale tutto al femminile. Tre personaggi potentissimi, che amo da morire. Poi c'è Trieste, crocevia culturale e baricentro europeo, la sede ideale per la mia storia. E il fatto che la protagonista studi architettura non è affatto casuale, ha un peso importante nel definire la tematica centrale del romanzo: come il pensiero umano possa seguire gli stessi schemi logici, i medesimi processi mentali per perseguire il bene o il male.


E giungo alla mia ultima domanda, e ti chiedo: quanto nella tua vita è importante il sogno?


Fondamentale. Molti considerano il sonno tempo sprecato, per me è una porta per una dimensione quarta dove incontro, interagisco e comunico con persone dimenticate, sconosciuti. Dove posso fluttuare, visitare luoghi inesistenti nei quali mi capita addirittura di tornare. Un'esistenza parallela che, lo confesso, mi piace più di quella reale. Perché il sogno è come la scrittura, non ci sono limiti. Forse per questo non sono mai stato un mattiniero. Aprire gli occhi, lasciare quell'universo tagliato a mia misura per rientrare in un quotidiano fatto di regole sociali, di convenzioni, di vincoli fisici e temporali... mi costa molta fatica. Mi consola sapere che basterà chiudere gli occhi e sarò di nuovo lì... a confrontarmi con me stesso per capire sempre meglio chi sono davvero.


Ringraziando Stefano Soli per il tempo dedicato, ricordo che il suo romanzo,  Giorno 122, è disponibile sia in formato cartaceo che in formato kindle. Per acquistare cliccate qui.

Potete inoltre vedere il Lungometraggio: Giorno 122, cliccando qui.


Per saperne di più visitate il suo sito cliccando qui.


 

4 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page